Facebook è una piattaforma attraverso la quale l’utente può interagire con terzi soggetti comunicando pensieri, immagini o video, allargando di conseguenza il suo raggio d’azione, creando una sorta di gigantesco megafono con il quale esternare i propri pensieri, opinioni, rancori, simpatie e antipatie, ecc.
In questa “giungla virtuale” insultare sui social network potrebbe integrare il reato di diffamazione previsto e punito dall’articolo 595 del codice penale e, di conseguenza, portare a pesanti sanzioni, fino a 2 anni di reclusione nei casi più gravi.
In altre parole, la diffamazione viene in essere anche se le offese all’altrui reputazione avvengono verso un pubblico virtuale e non reale, proprio come accade con i commenti o gli status di Facebook.
Più volte la Corte di Cassazione si è espressa sulla scottante questione: ebbene insultare con commenti offensivi sui social, ferire la dignità altrui con foto e post che ne compromettano la reputazione, rappresenta una forma di diffamazione integrante il reato descritto dall’art. 595 del Codice Penale.
La diffamazione a mezzo Facebook, in particolare con riferimento a post diffamatori, può verificarsi in due generali ipotesi: a) la prima è quella della pubblicazione su pagine personali, alle quali, per accedere, è necessario il consenso del titolare, ove si deve ritenere la comunicazione non potenzialmente diffusiva e pubblica, in quanto, attraverso Facebook si attua una conversazione virtuale privata con destinatari selezionati che hanno chiesto previamente al presunto offensore di poter accedere ai contenuti delle pagine dallo stesso gestite; b) la seconda è caratterizzata dalla pubblicazione di post, commenti o quant’altro su pagine nelle quali l’utente non sceglie direttamente i propri interlocutori.
Quindi massima prudenza per chi scrive, commenta o “posta” sui social network.
Archivio news